Storia del Commercio Equo e Solidale
Già negli anni ’30 e ’40 alcune confraternite religiose statunitensi raccoglievano e vendevano fuori dalle chiese piccoli oggetti di artigianato, con l’intento dichiarato di raccogliere fondi da destinare alle elemosine.
Un approccio più organico e sistematico al commercio equo nasce trent’anni dopo, quando piccoli gruppi di studenti cominciarono a cercare strade alternative e nuove forme di scambio per poter estromettere le grandi multinazionali.
Questi giovani scoprirono che molti produttori di cacao, caffè, canna da zucchero, banane lavoravano in condizioni difficili e non avevano un contatto diretto col mercato, ma erano costretti a vendere i loro prodotti a intermediari locali.
In effetti, in quegli anni lo squilibrio tra Nord e Sud del mondo continuava a crescere, e le politiche di aiuti e di sostegno annunciate dai Paesi più industrializzati o dalle istituzioni preposte non riuscivano a raggiungere gli obiettivi che si erano proposti.
Un approccio più organico e sistematico al commercio equo nasce trent’anni dopo, quando piccoli gruppi di studenti cominciarono a cercare strade alternative e nuove forme di scambio per poter estromettere le grandi multinazionali.
Questi giovani scoprirono che molti produttori di cacao, caffè, canna da zucchero, banane lavoravano in condizioni difficili e non avevano un contatto diretto col mercato, ma erano costretti a vendere i loro prodotti a intermediari locali.
In effetti, in quegli anni lo squilibrio tra Nord e Sud del mondo continuava a crescere, e le politiche di aiuti e di sostegno annunciate dai Paesi più industrializzati o dalle istituzioni preposte non riuscivano a raggiungere gli obiettivi che si erano proposti.
Il Commercio Equo e solidale è nato in Olanda negli anni ‘70 in seguito ad un’intuizione di un gruppo di giovani ragazzi attivi in una Organizzazione non governativa (Ong), che aveva relazioni con i Paesi del Sud del mondo, in particolare il Messico. L’intuizione era molto semplice, quasi banale. Questi ragazzi, decisero di studiare alcune possibilità, molto concrete, che avrebbero potuto permettere a queste popolazioni che vivevano in una situazione di miseria e povertà di potersi riscattare.
Ecco che nel 1974, in un piccolo villaggio in Olanda, nacque la prima bottega del mondo. Il principio era molto semplice e chiaro: pagare ai produttori del Sud del mondo un prezzo giusto e importare il prodotto per venderlo direttamente al consumatore finale, definito poi consumatore responsabile.
Ecco che nel 1974, in un piccolo villaggio in Olanda, nacque la prima bottega del mondo. Il principio era molto semplice e chiaro: pagare ai produttori del Sud del mondo un prezzo giusto e importare il prodotto per venderlo direttamente al consumatore finale, definito poi consumatore responsabile.
Con l’evoluzione di questo primo negozio nacquero nel Sud del mondo molte cooperative e consorzi di produttori per lo sviluppo non solo delle proprie famiglie, ma anche delle loro comunità.
Furono costituite a anche piccole banche comunitarie in quanto i contadini o gli artigiani, per poter svolgere la propria attività, avevano bisogno di un piccolo anticipo in denaro, che solitamente erano costretti a chiedere al compratore/intermediario (che veniva chiamato il coyote) con tassi di interesse di usura.
In pratica questi giovani olandesi avevano capito che si doveva spezzare questo legame perverso che legava piccoli contadini o artigiani a chi li voleva sfruttare. Ma bisognava permettere a questi produttori di poter creare anche nei Paesi industrializzati un mercato solido di negozi capaci di commercializzare i frutti del loro lavoro.
Cosi, l’iniziativa partita dall’Olanda si è poi sviluppata in Belgio e in Inghilterra con Oxfam, in Germania con Gepa, e si è diffusa anche in Italia.
Da questo punto di partenza gruppi e singole persone, si sono incontrati per dare vita alla prima centrale di importazione di prodotti del commercio equo e solidale CTM (Cooperazione Terzo mondo), costituita nel 1988, che contribuirono alla diffusione in Italia della rete di Botteghe del Mondo.
Furono costituite a anche piccole banche comunitarie in quanto i contadini o gli artigiani, per poter svolgere la propria attività, avevano bisogno di un piccolo anticipo in denaro, che solitamente erano costretti a chiedere al compratore/intermediario (che veniva chiamato il coyote) con tassi di interesse di usura.
In pratica questi giovani olandesi avevano capito che si doveva spezzare questo legame perverso che legava piccoli contadini o artigiani a chi li voleva sfruttare. Ma bisognava permettere a questi produttori di poter creare anche nei Paesi industrializzati un mercato solido di negozi capaci di commercializzare i frutti del loro lavoro.
Cosi, l’iniziativa partita dall’Olanda si è poi sviluppata in Belgio e in Inghilterra con Oxfam, in Germania con Gepa, e si è diffusa anche in Italia.
Da questo punto di partenza gruppi e singole persone, si sono incontrati per dare vita alla prima centrale di importazione di prodotti del commercio equo e solidale CTM (Cooperazione Terzo mondo), costituita nel 1988, che contribuirono alla diffusione in Italia della rete di Botteghe del Mondo.
Ora in Italia ci sono 7 centrali di importazione, circa 400 Botteghe del Mondo, e anche la grande distribuzione si è accorta di questo fenomeno e in molti casi commercializza prodotti del commercio equo
Si tratta di una risposta molto importante e concreta, che “mette in discussione” l’attuale sistema economico-finanziario fino alle sue radici, partendo da un concetto di redistribuzione delle risorse e non di massimizzazione del profitto. Oggi nel Sud del mondo almeno 500 milioni di persone possono pianificare il proprio sviluppo locale, grazie al commercio equo ed alla finanza etica.
Oggi il consumatore del Nord del mondo ha la possibilità di scegliere: se non vuole sentirsi complice di un sistema di sfruttamento può “votare” anche attraverso lo strumento dell’acquisto, decidendo di consumare prodotti del commercio equo e solidale, e questo credo sia un passo importante verso la costruzione di un mondo migliore.
Si tratta di una risposta molto importante e concreta, che “mette in discussione” l’attuale sistema economico-finanziario fino alle sue radici, partendo da un concetto di redistribuzione delle risorse e non di massimizzazione del profitto. Oggi nel Sud del mondo almeno 500 milioni di persone possono pianificare il proprio sviluppo locale, grazie al commercio equo ed alla finanza etica.
Oggi il consumatore del Nord del mondo ha la possibilità di scegliere: se non vuole sentirsi complice di un sistema di sfruttamento può “votare” anche attraverso lo strumento dell’acquisto, decidendo di consumare prodotti del commercio equo e solidale, e questo credo sia un passo importante verso la costruzione di un mondo migliore.
I primi prodotti equo solidali, quasi esclusivamente opere artigianali che andavano da oggetti di juta a ricami punto croce, venivano principalmente venduti nelle chiese o alle fiere. I prodotti stessi non avevano spesso altra funzione che mostrare che era stata fatta della beneficenza.